Una volta Merleau-Ponty, un filosofo francese di inizio 900, scrisse che il corpo è abitudine primordiale e che, come tale, esso condiziona tutte le altre abitudini rendendole comprensibili: il corpo costituisce il nostro particolare veicolo dell’essere al mondo, occupando lo spazio ed il tempo.
Noi esistiamo ed agiamo. Per fare tutto questo il corpo è necessario e non ce ne possiamo separare.
Quando il nostro corpo è sano, possiamo permetterci di svolgere varie azioni, senza costantemente riflettere sulla nostra corporeitá.
Ma cosa succede quando entra in gioco una malattia?
Quando il nostro corpo non è piú “sano”?
Quando ció che “vogliamo” e ció che “possiamo” diventano due concetti differenti?
Oggi Ilaria, Clara e Giulia ci parleranno del loro rapporto con i propri corpi e con quelle malattie che le hanno portate a dover imparare a giungere a compromessi, a comprendere i propri limiti, a conoscersi e viversi.
Oggi queste tre forti donne si raccontano, ed è una magia bellissima.
Oggi si parla di corpi e si parla di vita, e di come quest’ultima fa sentire la sua potenza anche quando tutte le luci sembrano spente.
Ilaria
Quando mi viene chiesto come la malattia ha modificato il mio corpo inizialmente non so come rispondere.
Mi sono ammalata quando avevo sette anni per cui il mio corpo e la malattia sono cresciuti assieme, sono io che mi sono adattata all’artrite.
Ho 27 anni, 28 tra un paio di mesi.
Mi sono ammalata una ventina d’anni fa, per molto tempo non ho capito.
Da bambina non ho mai percepito di “essere malata”, l’ospedale non mi infastidiva e i miei medici erano simpatici, il dolore c’era ma ero piccola e bastava davvero poco per dimenticarlo.
Crescendo ho iniziato a vedere la malattia, a sentirla.
Ho visto le preoccupazioni dei miei genitori e una volta fuori dalla pediatria i medici non sono poi così simpatici.
Non ero più Ilaria ma uno dei tanti pazienti da visitare nei 15 minuti, l’ennesimo caso di artrite reumatoide giovanile a cui rinnovare il piano farmaceutico ed essere liquidata velocemente.
Il reumatologo che mi seguiva in età pediatrica mi diceva che c’è una parte del nostro corpo più difficile da curare, una zona in cui se la malattia si annida è più faticosa da guarire ed è la testa.
Niente di più vero, cortisone e antidolorifici possono alleviare il dolore, ma se il dolore viene dalla parte più profonda di te trovare una cura può diventare difficile.
L’accettazione di sé, senza incolpare ingiustamente qualcuno per l’essersi ammalata, è la soluzione. Facile a scriverlo, un po’ più complicato metterlo in pratica.
Io ci sto ancora lavorando, grazie al volontariato sto imparando a vedere le cose in maniera diversa e a prendere la vita come viene, della serie se la vita ti offre limoni fai una limonata.
E così mi sono dovuta fare spazio, perché siamo in due: la malattia e il mio corpo.
Anche se la malattia cerca di comandare io sono più testarda e faccio quello che devo fare.
A volte devo dargliela vinta, devo fermarmi, devo rallentare, devo scegliere.
A volte devo scendere a compromessi perché se voglio scalare una montagna so che il giorno dopo sarò completamente immobile e perciò niente scalata, mi devo accontentare di una passeggiata e nemmeno troppo lunga.
Se questa decisione non mi piace allora mi ripeto che sto semplicemente riservando le energie per scalare la montagna più bella.
Clara
Ecco cosa mi serve, un computer, chiudere gli occhi un attimo per pensare a cosa scrivere (anche se in realtà non è difficile).
Una bottiglia di acqua fresca per dissetarmi da questo caldo che sento arrivare alle mie spalle e tanta serenità.
Mi chiamo Clara Carrubba ed ho 31 anni, sono di origine Siciliana, ma dal 2016 vivo in Lombardia per motivi di lavoro e con molto beneficio anche per motivi di salute.
Penso che il tema del dolore sia difficile da affrontare poiché ben pochi riescono a capire.
Se poi associamo eventi che possono scaturire dolore nel nostro corpo ansia, agitazione tutto diventa molto più complicato. Le diverse problematiche familiari, il lavoro, lo studio etc… il dolore aumenta in modo esagerato.
Somatizziamo ciò che viviamo in quel momento!!
Personalmente parlo dei miei “dolori” nascosti, silenziosi, vissuti da sola per non far preoccupare chi nella vita ha sempre creduto in me.
Convivo da circa 14 anni con il lupus eritematoso sistemico una patologia autoimmune che coinvolge organi e tessuti e la fibromialgia caratterizzata da dolori muscolari diffusi associati ad affaticamento, problemi di insonnia (che per fortuna io non soffro)e alterazione dell’umore.
Il mio corpo, la mia mente vengono sempre al primo posto e per tutelarli cerco in ogni modo di allontanarmi da persone, cose, che possono in qualche modo attivare la mia patologia.
Pensare al dolore come una situazione frustante non lo concepisco, anzi, bisogna pensare che esiste ed affrontarla serenamente.
Bisogna reagire, magari uscendo da un luogo in cui ci sentiamo chiusi, incontrando amici, leggendo un libro e guardando avanti la realtà.
Non abbasso mai la testa davanti al dolore perché mi sento più forte e non concepisco che possa vincere lui!
In breve vi racconto la mia storia.
Vivo sola ormai da 4 anni e affronto la vita con ogni problematica che mi viene messa davanti, dalle visite nel reparto di reumatologia, alle infusioni di ferinjgect in ematologia.
Immaginate una ragazza seduta su una poltrona con una flebo appesa e la sensazione che si prova.
Immaginate di aver finito la terapia, di essere chiamati dall’ematologo che vi spiega i vari dolori che potreste avere durante il giorno, in particolare quelli articolari!
Ebbene, abbasso la testa e mi sento pronta...diciamo!!!
Arrivo a casa e dormo tutto il giorno sperando che qualcuno mi prepari la cena, ma è talmente impossibile che trascino il mio corpo fino alla cucina per bere e mangiare qualcosa per prendere le altre medicine che servono per il lupus e la Fibromialgia.
Personalmente mi ritengo una persona forte.
Troppe volte ho deciso di mollare per i forti dolori, le difficoltà a camminare ma la VITA è meravigliosa e bisogna reagire.
Un tema su cui mi soffermo è il dolore psicosomatico, quello che molte persone hanno la capacità di innescarti attraverso atteggiamenti di superiorità invadendo il tuo corpo.
Ad esempio il fatto di “essere accusata” o “un litigio” possono scatenare una riattivazione della malattia, perché il corpo percepisce momenti di stress abbastanza elevati.
Lo stress è la causa scatenante dei miei dolori!
Vado a lavoro serena, ma se vedo comportamenti avversi nei miei confronti, il mio corpo inizia a percepire stimoli esterni, passando poi a dolori articolari, gonfiori alle mani, macchie sul viso.
Sinceramente non riesco a capire se i miei amici siano riusciti a capire la mia problematica, ma mi stupirebbe essendo io una persona che riesce a far pesare la situazione ben poco.
Non posso lamentarmi il loro affetto indipendentemente è sempre presente.
La famiglia gioca un ruolo importante nella mia vita, lontani ma vicini con il cuore.
Riescono a capire i miei momenti di dolore provocati dalla malattia, dallo stress.
Soprattutto riescono a capire i momenti in cui ho proprio il bisogno di staccare perché qualcosa non è andata bene a lavoro.
Sono delle persone rassicuranti nei miei confronti, capaci di rendermi una persona felice!
Un consiglio che vorrei dare a chi leggerà la mia storia è di allontanare o evitare le persone che possono provocare problemi alla nostra salute.
Guardate sempre avanti ragazzi, imparate ad apprezzare la vita, a lamentarvi di meno e far di più
Essere parte attiva di un gruppo aiuta a rendere forti nei momenti difficili.
Vorrei raccontarvi tantissime cose ma mi soffermo sul “tema” di oggi.
Io dico sempre: Vivi, Ama e Ridi…..
Giulia
In un modo o nell'altro l'artrite ha sempre influenzato il rapporto con il mio corpo.
All'inizio non me ne rendevo conto, non sapevo neanche cosa fosse questa artrite.
Cercavo di scoprirlo dalle reazioni degli adulti ed ero arrivata alla conclusione che fosse qualcosa di cui era meglio non parlare: creava solo preoccupazione e tristezza.
Ho iniziato a sentirmi “diversa” durante gli anni delle medie, quando il corpo cambia e la curiosità cresce.
I miei compagni iniziavano a chiedermi come mai avessi un ginocchio così storto e non sono mancate risate e prese in giro.
Io che fino a quel momento non avevo fatto molto caso alla forma delle mie gambe ho iniziato a pensare che forse sarebbe stato meglio nasconderle.
Quando avevo 14 anni l'ortopedico avrebbe voluto operarmi e mi disse, davanti ai miei genitori quasi a volermi convincere, che sarebbe stato molto più bello indossare le minigonne se avessi avuto entrambe le ginocchia in asse.
Ricordo solo che mia madre gli rivolse parole poco gentili e poi non lo vidi più.
Non mi sono mai sentita in potere di modificare le parti del mio corpo che non mi piacciono e forse per questa ragione ho iniziato a pretendere che gli altri le accettassero così com'erano.
Ho scelto di avere accanto persone che comprendessero la malattia e non mi giudicassero come era stato fatto in passato e nel corso di tutta la mia adolescenza.
Il rapporto con il mio corpo è di amore ed odio.
Mi fa arrabbiare quando mi provoca dolore e mi fa gioire quando mi permette di godere delle giornate più importanti senza fare i capricci.
Ho iniziato ad apprezzare tutte le piccole cose che spesso si danno per scontate: addentare un bel panino, scendere le scale, camminare per le strade di una città mai vista, sedersi per poi ripartire per nuove scoperte senza dover chiedere aiuto agli antidolorifici.
Purtroppo l'artrite non è sempre clemente e abbiamo dovuto fare un patto di reciproca convivenza.
Questo patto prevede che alcune cose io debba metterle da parte, in cambio lei dorme e alcuni giorni può capitare che quasi mi dimentichi che sia con me.
Con gli anni ho imparato ad amarmi e ho trovato compagni di viaggio in grado di amare il mio corpo e le sue caratteristiche quanto me, a volte forse di più, quel tanto che basta per aiutarmi a farci la pace nelle giornate in cui ci litigo e tutto sembra “no”.
Non so cosa mi possa riservare il futuro e la sensazione di "perdere tempo" spesso mi toglie il fiato.
Non voglio perdermi nulla e il pensiero che la malattia possa colpire nuove parti del mio corpo mi fa rabbrividire.
A volte mi tocco quelle parti che ancora si muovono senza dolori e godo di questi movimenti privi di sforzo. Chiudo gli occhi e spero con tutto il cuore che mi vengano concessi altri anni di movimenti spensierati.
Poi apro gli occhi e torno alla vita di tutti i giorni che, vi assicuro, in nulla e per nulla è diversa da quella dei miei coetanei.
Non so quanto e se durerà e come potrò affrontarla ma so che l'amore che ho verso ogni piccola parte di me, funzionante o meno, è frutto di anni di compromessi e pazienza e non può svanire.
Oggi quindi ringrazio il mio corpo per tutte le fatiche che sopporta e per aiutarmi a vivere pienamente ogni giorno. Grazie.
Un grazie ed un grande abbraccio alle tre scrittrici di oggi.
Speriamo questo quinto articolo della serie Racconti Cronici vi sia piaciuto!
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