Il sesto articolo del progetto Racconti Cronici parla di corpo e sessualità.
Con Giada ed Ilaria approfondiremo varie tematiche da molti considerate tabù, ma che caratterizzano tutti gli esseri umani e di cui, proprio per questo, non c’è motivo di vergognarsi.
Parlare di corpo, parlare di sesso è importante perché sono parte della vita ed in questo articolo Giada ed Ilaria ci racconteranno il suo punto di vista e la sua esperienza a riguardo.
Rapporto con il proprio corpo, con la propria sessualità, accettazione di se stessi senza tendere a modelli di tendenza, il tutto convivendo con una o varie malattie reumatiche.
Continuate a leggere per saperne di più!
Ilaria
La sessualità è da sempre un argomento delicato, e quando si parla del rapporto fra la disabilità o la malattia e la sessualità lo è ancora di più.
Le malattie come le nostre, ovvero le patologie reumatiche, portano con sé una serie di disturbi fisici che possono interferire con il corretto funzionamento genitale e portare con sé, di conseguenza, tutta una serie di disagi che possono essere peggiorati daii pensieri che ne possono derivare di “non essere in grado”, “non essere capace” da una parte e, dall’altra, di aver paura del dolore, causato dalla possibilità di avere rapporti sessuali dolorosi, a causa di una non sufficiente lubrificazione vaginale, e quindi spiacevoli.
L’impatto della vita sessuale è molto importante, soprattutto in un’età, come quella a cui ci rivolgiamo (18-35 anni), che è in età fertile e che, soprattutto in questo periodo, inizia a sperimentare la propria sessualità.
Queste problematiche possono quindi rendere davvero complicata, più di quanto già non lo sia, la vita del/la giovane malato/a reumatico/a.
Trovare un reumatologo sensibile a queste tematiche può essere fondamentale per non sentire eccessivamente il peso di questa condizione.
Ora più che mai è fondamentale la multidisciplinarietà del team che prende in cura il giovane.
In questo caso nel team di esperti devono assolutamente figurare il reumatologo e il ginecologo/andrologo e uno psicologo esperto in sessuologia, nel qual caso si evidenzi la presenza di distress (ovvero uno stress percepito come negativo dal soggetto che ne soffre) legato alle tematiche della sessualità.
E’ importante che il tema sesso non sia un tabù inaffrontabile, ma è necessario che diventi un argomento che, nonostante possa scatenare imbarazzo, deve essere trattato in ambienti sia formali (convegni medici o di sensibilizzazione) sia meno formali e che possa diventare più alla portata di chiunque ne abbia bisogno.
Giada
Mi guardo allo specchio.
Mi avvicino all’immagine di me.
Sfioro il cristallo pungente.
Mi tocco un fianco, una natica, e poi scendo.
Quello che vedo è differente, ma allo stesso tempo simile, a ciò che sono abituata a percepire.
È distante da corpi tonici, lisci, con curve gentili e seni tondi e sodi; è distante dai corpi dei cartelloni pubblicitari, da quelli della RAI, dalla cultura pop che vuole farmi credere che avere degli addominali scolpiti e il culo duro mi farà essere una persona migliore.
Però è un corpo vicino a quello delle donne che fanno parte della mia quotidianità, alle forme variegate e stupende delle mie amiche, a quelle meraviglie che sono i vasi cinesi, stretti in alto e progressivamente più larghi scendendo.
Il mio corpo sa empatizzare con quello delle mie sorelle: è sottoposto alle stesse pressioni e ribelle agli stessi dettami.
Che non vuol dire che non sia un corpo sano: è il corpo di una persona che ha deciso di non arrendersi ad una società che le chiede di essere sorridente, servizievole, acculturata ma non troppo, magra ma con seni prorompenti, sexy ma solo in certe occasioni, soda ma senza essere troppo muscolosa.
È il corpo di una persona che ha deciso di provare a lottare contro dettami patriarcali all’interno dei quali solo pochissimi corpi riusciranno ad entrare.
È anche il corpo di chi ha esercitato l’amore.
Di chi ha avuto il privilegio di avere accanto a sé altre donne che hanno saputo guidare un cambio di paradigma. Dall’amore per l’apparenza all’amore di sé.
Ed è il corpo di chi ha avuto accanto a sé individui che hanno celebrato questo amore di sé, che hanno saputo riconoscerlo e sostenerlo.
Nell’intimità, nella sessualità, per strada, nei meccanicismi della quotidianità.
Forse inizia tutto da noi, dal saper riconoscere che la società nella quale viviamo è marcia ed aggressiva e che i nostri corpi sono il miracolo con il quale possiamo iniziare insieme una resistenza efficace e necessaria.
Per sopravvivere, e poi per vivere felici.
Per non avere paura a guardarci, ad accarezzarci, a toccarci.
Per saper riconoscere che siamo una magia, il miracolo più vero.
Per imparare cosa ci piace, dove, come, quando e con chi, perché probabilmente non corrisponderà a quello che ci è stato insegnato.
E per imparare a riconoscerlo, accettarlo e celebrarlo, e poi a comunicarlo.
E non è immediato, né automatico, né scontato.
Non lo è in nessun caso, e non lo è stato nemmeno per me e per il mio corpo meno abile.
Il cortisone si stampa sul mio viso, cinque dieci quindici chili di più o di meno, e scopare dando peso alle ginocchia non va, e non toccarmi l’occhio che mi fa male, e oggi ho dolori ovunque e mi va meno intenso, o non mi va per niente.
Un cammino di empatia, di attenzione al mio corpo e ai miei desideri, per sapermi amare e permettere ad altre/i di amarmi, senza essere più o meno, uguale o diversa, arrapata o frigida, ma solo imparando ad essere me. Me con me stessa e me con chi mi sta intorno.
A Litany for Survival (Audre Lorde)
For those of us who live at the shoreline
standing upon the constant edges of decision
crucial and alone
for those of us who cannot indulge
the passing dreams of choice
who love in doorways coming and going
in the hours between dawns
looking inward and outward
at once before and after
seeking a now that can breed
futures
like bread in our children’s mouths
so their dreams will not reflect
the death of ours;
[…]
For all of us
this instant and this triumph
We were never meant to survive.
So it is better to speak
remembering
we were never meant to survive.
Ed è con questi versi di Audre Lorde che concludiamo questo questo sesto articolo del progetto, speriamo vi sia piaciuto e che abbiate trovato alcuni spunti di riflessione.
Fateci sapere cosa ne pensate sulla pagina di Facebook
Siamo curiosi di sapere cosa ne pensate. Per qualsiasi dubbio o commento non esitate a contattare Clara
Leggete anche gli altri articoli del progetto: